Era il 20 gennaio scorso quando Janna Gommelt, 25 anni, muore sul letto del suo furgone a Focene, in provincia di Roma. Morta in attesa dell’ambulanza, chiamata dal suo compagno Michael Douglas, arrivata 43 minuti dopo quella drammatica telefonata.
L’uomo aveva chiamato non appena la donna aveva perso i sensi: «Si è inchinata per prendere una cosa in frigorifero e ha detto solo “sto svenendo”. Ho chiamato subito l’ambulanza e se i soccorsi fossero arrivati in tempo Janna sarebbe ancora viva».
Il registro delle chiamate segna le 15,39 circa, quando l’uomo parla per la prima volta col 118. La conversazione dura 10 minuti e 24 secondi. «Mi hanno subito messo in attesa per trovare un un operatore in grado di parlare inglese – spiega Douglas – . Poi, sempre faticando nelle comunicazioni, mi è stato detto di tenere acceso il gps così che l’ambulanza ci potesse trovare», prosegue Douglas.
Dell’ambulanza, però, non c’è traccia. Così, alle 16,10, l’uomo chiama ancora. Eppure i soccorsi non arrivano. A quel punto, vedendo la situazione precipitare, l’uomo si mette alla guida della sua auto e suonando il clacson riesce a trovare gli infermieri del 118 a quattro isolati di distanza. Passa un quarto d’ora quando arriva in ospedale.
Lì l’uomo viene accolto dai carabinieri: «Mi hanno interrogato per 6 ore. Non mi hanno mai fatto parlare con un medico o un infermiere per sapere cosa fosse successo. Poi, alle 10.30 di sera, è arrivato il furgone che l’ha portata in obitorio». La causa della morte dovrebbe essere un arresto cardiocircolatorio. Dopo 74 giorni da quella vicenda ma la famiglia non ha ancora riavuto le spoglie. La procura di Civitavecchia ha aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio.