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Curiosità | Perché la lingua dei serpenti è biforcuta?
La lingua biforcuta dei serpenti è una caratteristica distintiva che li differenzia dagli altri animali. Ma perché si è sviluppata questa particolare forma di lingua? In questo articolo, esploreremo le teorie e le spiegazioni scientifiche dietro questa peculiarità.
La lingua biforcuta dei serpenti ha un ruolo cruciale nel rilevare le sostanze chimiche nell’ambiente circostante. Essa consente loro di acquisire informazioni sulle prede, sui predatori e sull’ambiente stesso.
Funziona come un sensore chimico: quando il serpente estrae la lingua, le due estremità biforcate si muovono indipendentemente, catturando le particelle chimiche nell’aria. Al ritrarsi, queste particelle vengono trasportate ai recettori olfattivi nella bocca del serpente.
Ci sono varie teorie sull’origine della lingua biforcuta. Una suggerisce che sia stata sviluppata per migliorare l’efficienza nella caccia, mentre un’altra ipotizza che sia stata un adattamento per rilevare i predatori.
È stata una caratteristica cruciale nell’evoluzione dei serpenti, consentendo loro di adattarsi a differenti habitat e di sviluppare molteplici strategie di caccia grazie alla capacità di percepire le sostanze chimiche circostanti.
In conclusione, la lingua biforcuta dei serpenti svolge un ruolo fondamentale nella loro sopravvivenza. È uno strumento vitale per individuare prede e sfuggire ai predatori, contribuendo significativamente alla loro adattabilità e successo evolutivo.
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SAI PERCHE’…la pipì è gialla?
La pipì deve il suo caratteristico colore giallo a un processo complesso che coinvolge la distruzione dei globuli rossi e il lavoro della flora intestinale. Questo colore è legato alla bilirubina, una sostanza derivata dalla decomposizione dell’eme, il componente che trasporta l’ossigeno nei globuli rossi. Una volta che i globuli rossi completano il loro ciclo vitale (circa 120 giorni), l’eme viene trasformato in bilirubina, che passa dal fegato all’intestino. Qui, intervengono i batteri intestinali.
Il ruolo dell’enzima bilirubina reduttasi
Brantley Hall, Professore di Biologia Cellulare e Genetica Molecolare presso l’Università del Maryland, ha individuato un enzima cruciale nel processo: la bilirubina reduttasi. Questo enzima converte la bilirubina in urobilinogeno, un sottoprodotto privo di colore. Successivamente, l’urobilinogeno si degrada spontaneamente in urobilina, la sostanza che conferisce alla pipì la sua tipica sfumatura gialla.
Implicazioni per la salute
Sebbene la scoperta possa sembrare tecnica, ha potenziali implicazioni cliniche. La bilirubina, se non viene adeguatamente trasformata, può accumularsi nel corpo e causare problemi gravi, come danni cerebrali o condizioni pericolose per la salute. Il malfunzionamento della sua eliminazione è infatti collegato a patologie come l’ittero nei neonati, in cui la pelle e le mucose assumono un colore giallastro a causa di livelli elevati di bilirubina.
Patologie associate alla bilirubina
L’ittero si verifica soprattutto nei neonati, che hanno una capacità ridotta di degradare la bilirubina. Negli adulti, invece, problemi con la bilirubina possono manifestarsi in condizioni come le malattie infiammatorie intestinali o con la formazione di calcoli biliari. Queste problematiche potrebbero essere legate a una bassa presenza di microrganismi intestinali in grado di eliminare la bilirubina, un’ipotesi che sarà oggetto di studi futuri.
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Perchè quando abbiamo l’influenza ci sentiamo tristi?
Quando ci si ammala, è normale sentirsi più irritabili, stanchi, e privi di energie, ma la causa di questo malessere non è tanto il virus o il batterio in sé, quanto la risposta del sistema immunitario. Il nostro corpo reagisce all’infezione attivando le citochine pro-infiammatorie, proteine-segnale che comunicano tra le cellule del sistema immunitario e raggiungono vari organi, incluso il cervello. Una volta lì, possono influenzare l’umore, portando a sensazioni di stanchezza, ansia, depressione e la voglia di stare da soli.
Studi scientifici, come quello condotto all’Ospedale Universitario di Essen, hanno dimostrato che iniettando sostanze che simulano la presenza di batteri (senza un’infezione reale), il sistema immunitario risponde come se fosse in corso una malattia. I volontari hanno riportato sintomi come fatica, disinteresse per le attività, e persino stati d’animo ansiosi o depressivi, proprio a causa dell’azione delle citochine.
Ma perché il nostro corpo ci fa sentire così male? Il motivo è che, per combattere l’infezione, il sistema immunitario ha bisogno di tutte le energie disponibili. Il malessere, l’apatia e il desiderio di evitare interazioni sociali sono meccanismi attraverso i quali l’organismo ci costringe a riposare e a non sprecare energie in attività non essenziali. Questo stato di “pausa” forzata è parte di una strategia evolutiva per velocizzare la guarigione, garantendo che il corpo possa dedicarsi completamente alla lotta contro il patogeno.
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Insonnia: lo stress attiva i neuroni che disturbano il sonno
Quando passiamo una notte agitata e piena di preoccupazioni, ci ritroviamo il giorno dopo con una memoria meno efficiente e le emozioni sregolate. Questo accade perché lo stress interrompe il sonno, interferendo con processi cruciali per la salute mentale e fisica. Uno studio pubblicato su Current Biology ha svelato come lo stress influisca direttamente su determinati neuroni nell’ipotalamo, causando risvegli brevi e frequenti (microrisvegli) che spezzano il normale ciclo del sonno.
Il ciclo del sonno
Il sonno è costituito da una sequenza di cinque fasi, suddivise in due categorie principali:
- Sonno non-REM (fasi da 1 a 4), che va dal sonno leggero a quello profondo.
- Sonno REM (Rapid Eye Movement), la fase in cui si sogna.
Ogni ciclo del sonno dura circa 90 minuti e si ripete diverse volte durante la notte. Il sonno profondo è particolarmente importante per il ripristino fisico e mentale, mentre il sonno REM è fondamentale per l’elaborazione delle emozioni e la memoria.
Lo studio sui neuroni VGLUT2
I ricercatori dell’Università della Pennsylvania hanno individuato una popolazione di neuroni glutammatergici (VGLUT2) nell’ipotalamo, che sono normalmente attivi durante la veglia e attivati ritmicamente durante il sonno non-REM. Lo stress manda “fuori tempo” questi neuroni, provocando un aumento dei microrisvegli notturni.
Nei topi esposti a situazioni di stress, l’attività dei neuroni VGLUT2 è risultata particolarmente intensa, portando a frequenti risvegli e a una riduzione complessiva del tempo trascorso sia in sonno non-REM che REM. Al contrario, quando i ricercatori hanno inibito l’attività di questi neuroni, i microrisvegli sono diminuiti e il sonno è diventato più lungo e stabile.
Prospettive future
Questo studio apre la strada a nuovi potenziali trattamenti per chi soffre di insonnia causata da stress o disturbi post-traumatici. La possibilità di regolare l’attività dei neuroni VGLUT2 tramite farmaci potrebbe migliorare la qualità del sonno, permettendo a chi ne soffre di riposare in modo più profondo e ristoratore.
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