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Economia

Cresce l’imprenditoria straniera in Italia: un’indagine rivela il fenomeno

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Un recente studio dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre ha evidenziato un trend significativo nel panorama imprenditoriale italiano: negli ultimi dieci anni, il numero di imprese guidate da titolari nati all’estero è aumentato del 29,5%, corrispondente a 133.734 nuove aziende. In contrasto, le imprese a capo di italiani hanno registrato un calo del 4,7%, con una perdita di 222.241 aziende. Attualmente, delle 5.097.617 imprese attive in Italia, 586.584, ovvero l’11,5% del totale, sono gestite da stranieri.

Questo fenomeno non si limita a specifiche aree geografiche, ma è osservabile in tutto il Paese. Tra le 105 province monitorate, solo sette – Catania, Messina, Cosenza, Siracusa, Nuoro, Vibo Valentia e Palermo – hanno visto un incremento del numero di imprenditori italiani rispetto agli stranieri.

Particolarmente significative sono le percentuali di imprenditori stranieri nei settori del commercio e dell’edilizia, che insieme rappresentano il 60% delle attività. Nel commercio, gli imprenditori stranieri costituiscono il 15,2% del totale, mentre nell’edilizia si arriva a una percentuale del 20,6%. Anche nel settore dell’alloggio e ristorazione gli imprenditori stranieri sono presenti in misura rilevante, con 50.210 unità, pari al 12,7%.

Analizzando la nazionalità, i romeni risultano essere i più numerosi tra gli imprenditori stranieri in Italia, con 78.258 aziende. Seguono i cinesi con 78.114, i marocchini con 66.386 e gli albanesi con 61.586. È interessante notare che, rispetto a dieci anni fa, la crescita più marcata si registra tra gli imprenditori moldavi, con un incremento del 127%, seguiti dai pakistani (+107%) e dagli ucraini (+91%).

Questi dati non solo testimoniano un cambiamento significativo nell’imprenditoria italiana, ma mettono anche in luce il ruolo crescente degli stranieri nell’economia nazionale.

Economia

La Cina sfrutta la crisi dell’automotive Europea e registra un boom di vendite

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ADN24

Il comparto automobilistico europeo sta affrontando un periodo difficile, e i principali gruppi automobilistici del continente, come Volkswagen e Stellantis, sono testimoni di questa crisi. In un contesto politico ed economico complesso, un nuovo protagonista si fa sempre più spazio: la Cina. Il gigante asiatico, infatti, ha ormai consolidato la sua posizione di leader nella produzione di auto elettriche, sfruttando i problemi dell’industria automobilistica europea.

La Commissione europea ha preso atto di questa situazione e ha deciso di intervenire, utilizzando l’arma dei dazi per limitare l’ingresso nel mercato europeo dei veicoli cinesi di ultima generazione, soprattutto quelli elettrici, che beneficiano di ingenti sussidi statali.

Guardando i dati relativi alla produzione e immatricolazione di veicoli sia nell’Unione Europea che in Cina, emerge un netto divario tra i due mercati. Nel 2023, l’Unione Europea ha prodotto solo 12 milioni di autoveicoli, ovvero circa la metà della sua capacità produttiva teorica di 21 milioni. D’altra parte, la produzione cinese ha superato i 30,16 milioni di veicoli, con un aumento dell’11,6% rispetto all’anno precedente. Anche le vendite totali di veicoli hanno raggiunto oltre 30,09 milioni di unità, secondo i dati della China Association of Automobile Manufacturers (CAAM).

Il settore delle auto elettriche è uno dei principali motori della crescita cinese. Grazie ai salari relativamente bassi e agli enormi sussidi statali, la produzione di auto in Cina costa molto meno rispetto ai concorrenti europei. Inoltre, la Cina domina la filiera delle materie prime necessarie per la produzione delle batterie, un altro fattore che la rende estremamente competitiva nel mercato delle auto elettriche.

Nel solo mese di novembre 2023, la Cina ha registrato un vero e proprio boom nelle vendite di veicoli elettrici, con un aumento del 51% su base annua, per un totale di 1,46 milioni di unità vendute. Questo segna anche un incremento del 6% rispetto al mese precedente. Le case automobilistiche cinesi, come BYD e Geely, sono state protagoniste di questo successo, con rispettivamente 504.003 e 122.453 auto elettriche vendute. Solo Tesla, con la sua filiale cinese, si è classificata quinta con 78.856 unità vendute nel mese.

I veicoli cinesi stanno trovando una crescente domanda anche nei mercati esteri. In particolare, le esportazioni verso la Russia sono aumentate in modo significativo, con una crescita delle vendite del 109% negli ultimi due anni. Al contrario, le esportazioni di auto cinesi verso gli Stati Uniti sono diminuite del 23% nello stesso periodo, evidenziando come la Cina stia cercando di diversificare i suoi mercati di esportazione.

La Cina sta perseguendo una strategia chiara per espandere la propria quota di mercato globale, in particolare nel settore delle auto elettriche. Nel 2023, quasi il 60% delle nuove immatricolazioni di veicoli elettrici a livello mondiale è avvenuto in Cina, seguita dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. Questo dato riflette come il Paese asiatico non solo stia conquistando il mercato interno, ma stia anche ampliando la sua influenza a livello internazionale.

Di fronte a questa espansione della produzione di auto cinesi, l’Europa ha risposto con misure protezionistiche. La Commissione Europea ha infatti deciso di imporre dazi sui veicoli elettrici cinesi, con l’obiettivo di tutelare l’industria automobilistica del continente e limitare l’ingresso nel mercato di auto che beneficiano di sussidi pubblici. Questo è un passo significativo per evitare che le case automobilistiche cinesi invadano il mercato europeo con veicoli a basso costo, minacciando le produzioni locali.

In un periodo di incertezze politiche ed economiche, la Cina sta sfruttando a suo favore le difficoltà che il settore automobilistico europeo sta affrontando. Con la produzione di auto elettriche in costante aumento e un’ampia fetta di mercato globale sotto il suo controllo, la Cina si sta affermando come leader nel settore. Tuttavia, le misure da parte dell’Europa, come l’imposizione di dazi, potrebbero rappresentare una risposta alle preoccupazioni riguardo alla competitività delle case automobilistiche europee. Il futuro dell’industria automobilistica mondiale sembra destinato a vedere un crescente confronto tra l’Europa e la Cina, con la questione della mobilità elettrica come campo di battaglia centrale.

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Economia

Ecomafie: 30 anni di reati ambientali e un appello per il futuro

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ADN24

Negli ultimi trent’anni, l’Italia ha subito un’incessante aggressione al proprio patrimonio ambientale, orchestrata dalle ecomafie. Secondo il rapporto trentennale di Legambiente, sono stati registrati oltre 902.000 illeciti ambientali, un dato che corrisponde a un crimine ogni 18 minuti. Questo fenomeno ha visto coinvolte 727.771 persone denunciate, 224.485 sequestri e un giro d’affari illegale stimato in quasi 260 miliardi di euro.

Le regioni del Sud Italia, dove le organizzazioni mafiose sono storicamente più radicate, registrano il maggior numero di reati. La Campania si colloca al primo posto, seguita da Calabria, Sicilia e Puglia. Il Lazio è la regione con il maggior numero di illeciti nel Centro Italia, mentre la Lombardia guida le statistiche al Nord.

Il traffico illecito di rifiuti è uno dei settori più colpiti. Dal 2002, anno dell’introduzione di una normativa specifica, sono state condotte 608 inchieste che hanno portato a oltre 3.400 arresti e il sequestro di oltre 60 milioni di tonnellate di rifiuti. Solo i fanghi di depurazione e i rifiuti industriali rappresentano quasi l’80% del totale sequestrato.

In occasione della conferenza nazionale “Ambiente e legalità: insieme per il futuro”, Legambiente ha presentato un pacchetto di sei proposte per rafforzare la lotta alle ecomafie e alla criminalità ambientale. L’organizzazione ha sottolineato l’urgenza di nuove normative per contrastare le agromafie, l’abusivismo edilizio e i reati contro gli animali. Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, ha evidenziato che la tutela ambientale deve essere al centro delle scelte politiche, in linea con i principi sanciti dall’articolo 9 della Costituzione italiana.

La presentazione del rapporto si è tenuta presso la Scuola Ufficiali dei Carabinieri a Roma, alla presenza di rappresentanti istituzionali di alto livello, tra cui il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto e i vertici delle forze dell’ordine impegnate nella tutela ambientale. La conferenza ha ricevuto il riconoscimento della Presidenza della Repubblica e ha incluso un momento dedicato all’educazione, con la premiazione di scuole vincitrici di un concorso nazionale sulla legalità ambientale.

La lotta alle ecomafie non è solo un capitolo di cronaca, ma una battaglia culturale, economica e sociale. I dati mostrano che l’impegno delle istituzioni e delle forze dell’ordine ha portato risultati significativi, ma il lavoro da fare è ancora lungo. Come sottolinea Ciafani, abbassare la guardia significherebbe compromettere la salute del nostro territorio e delle generazioni future. Per questo, il rapporto invita tutti, cittadini e istituzioni, a lavorare insieme per un futuro più giusto e sostenibile.

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Economia

Pil, attesa crescita dello 0,5% nel 2024 e dello 0,8% nel 2025

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ADN24

Il Pil italiano è atteso crescere dello 0,5% nel 2024 e dello 0,8% nel 2025. Lo rende noto l’Istat, sottolineando che nel 2024 l’aumento del Pil verrebbe sostenuto dal contributo della domanda estera netta (+0,7 punti percentuali), mentre la domanda interna fornirebbe un apporto negativo (-0,2 p.p.). Nel 2025 la crescita dell’economia italiana sarebbe invece trainata dalla domanda interna (+0.8 p.p.). I consumi privati delle famiglie continuano a essere sostenuti dal rafforzamento del mercato del lavoro e dall’incremento delle retribuzioni in termini reali; il perdurare di tali tendenze determinerebbe una leggera accelerazione del loro tasso di crescita nel 2025 (+1,1%, dopo il +0,6% nel 2024).
Sempre secondo l’Istituto di statistica, gli investimenti fissi lordi risultano in debole crescita nel 2024 (+0,4% dal +8,7% del 2023), a causa del venire meno degli incentivi fiscali all’edilizia; l’effetto della fine degli stimoli fiscali sarebbe ancora più ampio nel 2025 quando, nonostante la spinta positiva derivante dall’attuazione delle misure previste dal PNRR e dalla riduzione dei tassi di interesse, il tasso di crescita degli investimenti risulterebbe pari a zero.
La vivace dinamica dell’occupazione osservata nel corso del 2024, misurata in termini di unità di lavoro (ULA), risulterebbe notevolmente superiore (+1,2%) a quella del Pil; tali differenti dinamiche si riallineerebbero nel 2025 (+0,8% per Pil e unità di lavoro). I miglioramenti sul mercato del lavoro favorirebbero nel 2024 una forte riduzione del tasso di disoccupazione (6,5%, dal 7,5% del 2023), cui seguirebbe una ulteriore, leggera riduzione l’anno successivo (6,2%).
Il rientro del tasso di inflazione, favorito dall’effetto di contrazione dei prezzi dei beni energetici osservato nel 2024, è alla base della forte decelerazione del deflatore della spesa delle famiglie residenti (+1,1%, dal +5,1% del 2023); per il 2025 la tenuta di redditi e dei consumi dovrebbe determinare una risalita del deflatore della spesa delle famiglie (+2,0%).

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