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Politica

Decreto fisco: scontro sul 2 per mille ai partiti, il Quirinale dice no

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Un emendamento del governo al decreto Fisco mira a riformare il 2 per mille, la quota dell’Irpef che i contribuenti possono destinare ai partiti politici, riducendo formalmente l’aliquota allo 0,2 per mille ma introducendo un cambiamento significativo: anche la quota di chi non esplicita una scelta verrebbe automaticamente destinata ai partiti.

Se l’emendamento fosse approvato, dal prossimo anno il finanziamento pubblico ai partiti potrebbe quasi raddoppiare, arrivando a oltre 40 milioni di euro rispetto agli attuali circa 20 milioni. Tuttavia, il provvedimento ha sollevato critiche e ostacoli, con un intervento deciso del Quirinale. Il testo, infatti, rischia di non superare il vaglio degli uffici del Colle per diversi motivi.

Innanzitutto, la proposta appare slegata dalla materia fiscale a cui il decreto dovrebbe essere limitato, risultando dunque fuori contesto. Inoltre, la forma dell’emendamento è giudicata inappropriata, sollevando dubbi sia sul metodo sia sul contenuto. Il punto più controverso, però, riguarda il principio di libertà di scelta: la redistribuzione automatica delle quote dei contribuenti che non esprimono preferenze viene considerata una forma di imposizione, in contrasto con il diritto alla libera destinazione di tali fondi.

Il dibattito è già acceso: sostenitori dell’emendamento sostengono che garantirebbe maggiori risorse per il funzionamento dei partiti, visti come pilastri della democrazia. Dall’altra parte, i critici lo vedono come un tentativo di finanziare indirettamente i partiti, bypassando la volontà dei cittadini.

Lo stop del Quirinale segna una battuta d’arresto per il governo, che potrebbe essere costretto a ritirare o riformulare l’emendamento. Nel frattempo, la questione alimenta polemiche politiche e suscita perplessità tra i contribuenti, che vedono in questo provvedimento un’ingerenza nella gestione delle proprie scelte fiscali.

Politica

Meloni: “La nostra coalizione è forte grazie alla volontà di stare insieme”

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In un videomessaggio all’assemblea nazionale di Noi Moderati, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha sottolineato il valore della coesione all’interno della coalizione di centrodestra che guida l’attuale governo. La premier ha spiegato che, nonostante le differenti sensibilità politiche dei partiti che la compongono, ciò che li rende uniti è la forte volontà di lavorare insieme per il bene del Paese.

“La nostra coalizione è composta sì da forze politiche diverse, ognuna con la sua identità e la sua storia, che sono un valore aggiunto. La cosa che ci rende forti e coesi è la voglia di stare insieme, che ci consente di fare sintesi e trovare un punto di incontro”, ha dichiarato Meloni, enfatizzando come la diversità all’interno della coalizione non sia un ostacolo, ma una risorsa.

La presidente del Consiglio ha poi ribadito i principi che uniscono i membri della coalizione: “Siamo uniti dalla stessa visione del mondo di fondo, crediamo negli stessi valori, abbiamo idee compatibili e intendiamo portare avanti fondamentalmente gli stessi progetti”. Queste parole, rivolte ai partecipanti dell’assemblea, hanno avuto l’intento di rafforzare il messaggio di unità e determinazione della maggioranza, che intende affrontare le sfide politiche ed economiche del Paese con un obiettivo comune.

Il videomessaggio arriva in un momento in cui la coalizione di centrodestra sta cercando di consolidare il proprio progetto politico e di rispondere alle esigenze della società italiana, mantenendo una solida coesione interna. Concludendo il suo intervento, Meloni ha invitato tutti i membri della coalizione a continuare a lavorare insieme per il progresso e la stabilità dell’Italia.

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Politica

Antonio Costa assume la guida del Consiglio Europeo: sfide e prospettive

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Con l’insediamento di Antonio Costa come presidente del Consiglio Europeo, si apre un nuovo capitolo per l’istituzione che riunisce i leader dei 27 Stati membri dell’Unione Europea. L’ex primo ministro portoghese, primo rappresentante di una minoranza etnica a ricoprire questa carica, si prepara a affrontare il difficile compito di mediare tra le diverse visioni dei leader europei e imprimere un nuovo corso ai lavori del Consiglio.

Nato a Lisbona nel 1961, Costa porta con sé un bagaglio culturale unico: il padre era un comunista mozambicano e la famiglia ha radici in India e Francia. Questo background, insieme alla sua esperienza come sindaco di Lisbona e primo ministro del Portogallo, lo rende particolarmente adatto a ridefinire le relazioni dell’UE con Asia, Africa e Sud America, regioni che il politico considera cruciali per il futuro dell’Europa.

Costa intende trasformare il modus operandi del Consiglio Europeo. Tra i suoi obiettivi:

  • Snellire le riunioni, limitando le discussioni a pochi temi centrali e producendo conclusioni concise.
  • Promuovere i ritiri strategici, incontri informali in cui i leader europei possano dialogare lontano dalla pressione mediatica. Il primo è previsto per febbraio in Belgio e sarà dedicato alla difesa, con ospiti di spicco come il Segretario Generale della NATO e il premier britannico Keir Starmer.

Costa eredita un Consiglio Europeo segnato dalle tensioni tra il suo predecessore Charles Michel e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Tuttavia, il portoghese ha dichiarato di avere un rapporto personale e politico positivo con von der Leyen, che intende sfruttare per migliorare la cooperazione tra le due istituzioni.

Con una visione pragmatica e un tocco personale, Costa si prepara ad affrontare le prime sfide: il vertice con i leader dei Balcani occidentali il 18 dicembre e il Consiglio Europeo del 19-20 dicembre. Il cammino non sarà facile, ma Costa punta a rendere il Consiglio Europeo un motore più efficiente e strategico per l’Unione.

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Politica

“Condizioni onorevoli”: i privilegi della banca di Montecitorio sotto la lente di Report

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Un’inchiesta di Report dal titolo “Condizioni onorevoli”, trasmessa domenica 1 dicembre 2024, getta luce sui vantaggi esclusivi riservati ai parlamentari dalla storica banca interna alla Camera dei Deputati. La filiale, gestita da Banca Intesa (che ha acquisito l’ex Banco di Napoli, storico gestore dal 1926), offre servizi finanziari con condizioni estremamente favorevoli, difficilmente accessibili al cittadino comune.

La Galleria dei Presidenti conduce a questa istituzione storica del Palazzo di Montecitorio. Qui, la banca garantisce ai deputati agevolazioni significative per i conti correnti e i prestiti personali, con tassi molto vantaggiosi. Secondo quanto emerso, le condizioni applicate sono equiparabili – se non migliori – di quelle riservate alle grandi aziende.

L’ultima gara d’appalto per la gestione dei servizi bancari della Camera, tenutasi lo scorso anno, è stata vinta da Banca Intesa per un valore di 800 milioni di euro più IVA. Un elemento chiave del bando era l’obbligo di mantenere condizioni “corporate” di alto livello, vista la mole di denaro gestita dalla filiale, rendendola un punto nevralgico per i parlamentari.

Il servizio, curato da Chiara De Luca e Carlo Tecce, ha suscitato reazioni miste. Da una parte, alcuni difendono l’eccezionalità delle condizioni, sottolineando il ruolo cruciale della banca per i parlamentari; dall’altra, molti criticano i privilegi concessi in un contesto di crescente disuguaglianza tra cittadini e rappresentanti politici.

L’inchiesta si inserisce in un dibattito più ampio sui costi della politica e sui benefici riservati alla classe dirigente. L’attenzione mediatica potrebbe spingere a una riflessione più approfondita sulle modalità di gestione di queste istituzioni e sul loro impatto sull’opinione pubblica.

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