Economia
Le differenze salariali tra Nord e Sud Italia: al Nord si guadagna il 50% in più
Le disuguaglianze salariali in Italia continuano a essere evidenti, con una netta separazione tra i salari al Nord e quelli al Sud del paese. Secondo un’analisi del Centro Studi della Cgia di Mestre, i lavoratori del Nord guadagnano mediamente circa il 50% in più rispetto a quelli del Sud. Mentre al Settentrione la retribuzione mensile lorda si aggira intorno ai 2.000 euro, al Sud il salario medio scende a circa 1.350 euro.
Questa differenza si riflette non solo nelle retribuzioni mensili, ma anche nella tredicesima, che quest’anno, come segnalato dalla Cgia, rischia di essere erosa da rate, mutui, bollette e tasse. Il caro-vita, la produttività e la presenza di grandi aziende al Nord sono le principali cause di questa disparità. Le grandi imprese, multinazionali e istituti bancari/finanziari/assicurativi che si concentrano nelle aree urbane del Nord pagano stipendi più elevati, ma non sono distribuiti uniformemente sul territorio nazionale.
Nel 2023, il monte salari lordo erogato ai 17,3 milioni di lavoratori dipendenti privati in Italia ha raggiunto i 411,3 miliardi di euro, con una retribuzione media mensile lorda di 1.820 euro, in aumento rispetto all’anno precedente. Tuttavia, l’inflazione è cresciuta a un tasso superiore, pari al 5,7%, riducendo il potere d’acquisto dei lavoratori. Oltre il 60% delle retribuzioni complessive è stato pagato ai lavoratori del Nord, confermando la disparità tra le due aree del paese.
Le province con i salari più alti si trovano al Nord, con Milano che guida la classifica con una retribuzione mensile media di 2.642 euro, seguita da Monza-Brianza e dalle province lungo la via Emilia. Al contrario, le province del Sud, come Trapani, Cosenza e Nuoro, si trovano tra quelle con i salari più bassi, con Vibo Valentia che detiene il primato negativo con uno stipendio medio di soli 1.030 euro.
In sintesi, le disuguaglianze salariali in Italia sono accentuate dal divario geografico, che penalizza soprattutto le regioni meridionali, rendendo ancora più difficili le prospettive di crescita economica e di benessere per i lavoratori del Sud.
Economia
Intesa Sanpaolo lancia “S-Loan Soluzione Lavoro”, 10 miliardi per l’occupazione
Intesa Sanpaolo lancia “S-Loan Soluzione Lavoro”, finanziamento per le imprese che punta a favorire la crescita dell’occupazione sostenendo al contempo gli investimenti per l’aumento della competitività, attraverso un meccanismo di “premialità aggiuntiva” che riconosce un’agevolazione sul tasso di interesse in caso di nuove assunzioni, in particolare di giovani e donne.
La misura, destinata alle imprese clienti della Banca dei Territori, si ispira al modello dell’Ires premiale e potrà contare per i prossimi tre anni su una disponibilità di 10 miliardi di euro, nell’ambito dei 410 miliardi di euro previsti dal Gruppo a sostegno dei progetti collegati al PNRR. L’obiettivo dell’iniziativa, come preannunciato di recente da Carlo Messina, Consigliere Delegato e CEO di Intesa Sanpaolo, è incentivare le imprese italiane a effettuare investimenti ad alto contenuto tecnologico, tra le leve strategiche per la competitività italiana, che siano al tempo stesso in grado di determinare un aumento della produttività e un conseguente incremento occupazionale nel lungo periodo.
“Un circolo virtuoso che affianca le misure pubbliche in vigore – si legge in una nota – e vede agire Intesa Sanpaolo come facilitatore per implementare i benefici delle imprese clienti della Banca dei Territori, cui è destinata SLoan Soluzione Lavoro, che decidono di aumentare la propria capacità produttiva, creare un nuovo sito industriale, realizzare prodotti e servizi all’avanguardia, favorire l’automazione dei processi. L’impegno formale di assumere nuovo personale rappresenta per le realtà imprenditoriali il requisito necessario per ottenere l’agevolazione sul tasso di riferimento del finanziamento sia in fase di sottoscrizione che nel periodo di ammortamento”.
In questi ultimi anni l’occupazione in Italia è cresciuta, ma non a un ritmo sufficiente per colmare il divario con altri Paesi europei. Tra i giovani di età compresa fra i 15 e i 29 anni il tasso di occupazione è pari al 19,2% a fronte del 34,8% dell’Unione europea. Un altro aspetto importante è rappresentato dalla quota di lavoratori assunti a tempo indeterminato: sia nella media italiana, che in quella giovanile, il nostro Paese si attesta tra le peggiori posizioni europee.
“La finalità del nostro intervento, che conta su una disponibilità di 10 miliardi di euro – spiega Stefano Barrese, Responsabile Divisione Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo -, non è solo quella di garantire nuove risorse economiche alle imprese, ma assicurare proprio attraverso il credito degli incentivi a quelle aziende che puntano su investimenti tecnologici e che associano l’impegno ad assumere. Investire nella tecnologia e al tempo stesso portare giovani in azienda, inserendo nuovi talenti, può rappresentare un nuovo motore di crescita del Paese. Le Pmi hanno ben chiaro il loro percorso di sviluppo a prescindere dalle incertezze del contesto. Dal nostro osservatorio, vediamo la dinamica del credito positiva nei primi mesi dell’anno sia per le imprese che per le famiglie, e siamo fortemente convinti che in questa fase sia importante accompagnare l’aumento occupazionale del Paese puntando su ambiti di competenza molto rilevanti. La transizione digitale e l’intelligenza artificiale rappresentano certamente delle opportunità di crescita e sviluppo per l’economia, ma per coglierle è necessario mantenere centrale capitale umano e formazione”.
– foto ufficio stampa Intesa Sanpaolo –
Economia
Dazi, Tajani “Trattativa in corso, l’ultima parola dagli Usa sarà di Trump”
Sui dazi “la trattativa è in corso. Ci sono diverse opzioni al momento: un quadro generale senza entrare nel dettaglio, un accordo per settori… Ma è ancora presto anche perché da parte americana sarà Trump a dire l’ultima parola. La mia idea è che una guerra dei dazi non fa bene a nessuno. L’idea generale dovrebbe essere quella di avere zero dazi e alla fine costruire un grande mercato Europa-Canada-Stati Uniti-Messico per favorire la crescita”. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri Antonio Tajani intervenendo all’edizione 2025 di “Forum in Masseria” con Bruno Vespa.
“Noi siamo un Paese esportatore e, dopo la Cina, quello che ha la maggiore varietà merceologica – ha aggiunto – Abbiamo sempre detto che il 10% non sarebbe un dazio insopportabile per la nostra economia. Io ho fiducia nel commissario Sefcovic”.
TAJANI SUI VARI FRONTI DI GUERRA
“Credo che la trattativa con la Russia sia molto complicata: Putin non vuole il cessate il fuoco, ma la stabilizzazione completa della situazione. Certamente non vuole Zelensky al governo. Vuole la tutela delle minoranze russe e occupare spazi di territorio. A tutto ciò si aggiunge un problema sociale: l’esercito russo ha in campo più di un milione di militari che sono pagati più degli operai russi, ha un’industria ormai in gran parte bellica. Quindi se dovesse fare marcia indietro nel giro di poche settimane, avrebbe grossi problemi sociali. Quindi credo che prima della fine dell’anno sia molto difficile arrivare ad una soluzione”, ha detto sulla guerra Russia-Ucraina. “Sosteniamo l’iniziativa degli Stati Uniti per un accordo. Ma ripeto, il cessate il fuoco per Putin mi pare molto difficile e dopo l’ultima telefonata mi pare che Trump abbia ripensato la sua decisione sulla difesa aerea dell’Ucraina. Putin non è un interlocutore facile da condizionare – ha aggiunto – Se le sanzioni vanno a colpire la finanza russa e gli impediscono di spendere molto per pagare l’esercito, allora quello potrebbe arrecare un danno alla strategia di Putin”. Nuove sanzioni alla Russia? “Se Putin non vuole fare la pace, sì. Non sono un fan delle sanzioni in generale, però se Putin non vuol arrivare a miti consigli bisogna fargli capire che deve farlo”.
E sull’Iran: “L’Iran ha subito una sconfitta militare, così come l’hanno subita i suoi alleati in Siria e Libano gli Hezbollah, gli Houthi sono in grande difficoltà. Ma è chiaro che dovremmo arrivare ad un accordo per evitare che la situazione diventi di nuovo esplosiva: finché l’Iran avrà la possibilità di fare la bomba atomica, è chiaro che Israele la considererà la sua più grande minaccia. Serve un accordo che autorizzi l’Iran ad avere una ricerca per l’energia nucleare a fini di pace e impedire che abbia la bomba atomica”.
La soluzione “Due popoli, due Stati” tra Israele e Palestina “è l’unica prospettiva che può garantire stabilità in quell’area. Come governo italiano, siamo sostenitori convinti del progetto egiziano e dei paesi arabi: riteniamo che si debba unificare Gaza e la Cisgiordania per dar vita ad uno stato palestinese, magari con un fase di interregno sotto l’egida delle Nazioni Unite. Hamas però deve restare fuori dal futuro della Palestina. Non condivido ed è inaccettabile quello che ha fatto Israele dopo la prima reazione a Gaza, ma sappiamo bene che Hamas è la causa di tutto ciò che sta accadendo. Sui coloni più violenti, come Unione Europea abbiamo inflitto sanzioni anche a loro. Israele ha diritto alla propria sicurezza, ma il popolo palestinese ha diritto ad avere uno stato guidato dall’Autorità Nazionale Palestinese”, ha concluso sul conflitto israelo-palestinese.
– foto IPA Agency –
Economia
Tommaso Foti critica il Green Deal europeo: “Così si va verso la deindustrializzazione dell’Europa”
Durante il suo intervento al Forum in Masseria di Manduria, il ministro per gli Affari europei, il PNRR e le Politiche di coesione Tommaso Foti ha lanciato un duro attacco al Green Deal europeo, definendolo una strategia priva di senso che sta conducendo l’Europa verso la deindustrializzazione e la perdita di competitività globale. Secondo il ministro, se si prosegue su questa strada, l’Unione Europea rischia di trasformarsi in “un giardinetto per anziani benestanti”, lasciando spazio a una crisi sociale crescente legata alla progressiva chiusura delle industrie. Foti ha sottolineato in particolare la questione dell’automotive, un settore che in Europa coinvolge direttamente circa 13 milioni di famiglie e che, a suo avviso, è destinato non a riconvertirsi ma a scomparire, con gravi ripercussioni per tutte le filiere, in primis quella italiana. Il ministro ha poi puntato il dito contro le regole e le scadenze imposte dall’Europa, affermando che spesso si trasformano in veri e propri cappi al collo delle imprese italiane. Ha citato, a tal proposito, l’incontro avuto con la direttrice generale del PNRR, durante il quale è stato evidenziato che scadenze diverse, come il 30 giugno o il 31 agosto 2026, avrebbero potuto portare a risultati differenti rispetto a quelli attuali. In conclusione, Foti ha ribadito che l’Europa non dovrebbe essere una macchina che impone divieti, ma uno strumento per far crescere e rafforzare il sistema produttivo di tutto il continente.
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